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Ci sono modi diversi di partecipare ad una competizione sportiva. Nella maggioranza dei casi partecipiamo indossando il pettorale, desiderosi di superare gli avversari e noi stessi. Noi siamo i protagonisti e ci aspettiamo che gli organizzatori abbiano pensato a tutto quello che ci serve per poter rendere al meglio nella nostra performance. Quando questo accade siamo felici, però ci sembra scontato e naturale. Quando questo non accade, invece, siamo subito pronti ad accusare e incolpare chi non è stato in grado di soddisfarci.

È normale.

Accade però che a volte ci si trovi dall’altra parte.

È successo venerdì 8 sabato 9 e domenica 10 luglio, in occasione della edizione zero dello Stonebrixiaman.

Invece di avere il pettorale addosso, pronti per nuotare, pedalare e correre ci siamo trovati per far sì che altri potessero farlo nelle migliori condizioni .

Abbiamo fatto del nostro meglio e il nostro meglio è stato un ottimo lavoro di squadra che ha consentito di poter portare a termine un progetto ambizioso e difficile, dove quasi 80 atleti da tutto il mondo hanno dato tutto loro stessi per raggiungere ad un traguardo lontano è difficile. E noi eravamo lì ad aiutarli per far sì che potessero spendere tutte le loro energie senza preoccuparsi d’altro.

A mio avviso ci siamo riusciti. E la cosa che più ha valore è che ci siamo riusciti perché ciascuno di noi lo desiderava. Senza secondi fini. Senza la necessità di una ricompensa.

La gara andata in scena questi giorni ha tutte le caratteristiche per diventare un evento unico nel panorama delle gare di endurance estremo. Sia per le caratteristiche del territorio, che consente scenari e situazioni indubbiamente uniche, ma non solo. Anche per il valore delle persone che hanno partecipato all’ideazione e alla realizzazione dell’evento.

Un progetto si può valutare solo al suo compimento. Non ha alcun valore evidenziare le lacune e le mancanze in corso d’opera. L’unico dato significativo è il risultato finale. La soddisfazione dei partecipanti.
Stonebrixiaman ha raggiunto il suo obiettivo.
Domenica mattina durante la premiazione dei 51 atleti capaci di raggiungere e tagliare il traguardo, si è potuto respirare il successo di questa prima edizione.

L’emozione era palpabile. Nella soddisfazione dei finisher. Nella delusione di quanti non erano riusciti a raggiungere il “Paradiso”. Nel l’orgoglio degli accompagnatori, che hanno avuto la fortuna di vivere in prima persona una piccola fetta di questa incredibile avventura. Nella soddisfazione di tutti coloro che hanno collaborato affinché avvenisse.
Chi si è ingegnato per acquistare cibo e bevande ai ristori. Chi ha saputo gestire le zone di transizione. Chi ha gestito il traffico e il passaggio degli atleti. Tutti noi siamo stati uniti e fasati affinché il progetto avesse successo.

E ci siamo riusciti.

Quale è il motivo che ci ha spinti a dare il massimo?

Credo sia lo spirito di appartenenza ad una squadra dove riusciamo ad esprimere desideri e a perseguire i nostri obiettivi. Dove abbiamo amici con i quali condividere le nostre aspirazioni. Compagni con i quali confrontare le nostre idee.

Questa squadra si chiama Zerotrentatriathlon.